Si tratta di uno di sei eventi appartenenti ad un percorso espositivo più ampio, che comprende altre prestigiose sedi milanesi: il Museo del Novecento, le Gallerie d’Italia, il Centro Artistico Alik Cavaliere, Palazzo Litta, e l’Università Luigi Bocconi. Si tratta di un omaggio importante a uno degli scultori di rilievo del Novecento italiano, legato alla città di Milano fin dalla propria formazione personale presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. L’universo verde si concentra su di un aspetto particolare dell’opera di Cavaliere, ovvero la natura e il mondo vegetale, rappresentato dalle varie sculture in mostra attraverso oggetti in bronzo, acciaio, argento, e ottone. Il progetto, curato da Elena Pontiggia, mette in risalto le opere dell’artista, lasciando che siano queste a trasmettere il suo stile e la sua sensibilità. In vista della prossima asta “U-3” del 25 settembre, quando Art-Rite proporrà un’opera inedita di Cavaliere, abbiamo visitato per voi la mostra di Palazzo Reale.
La vita di Cavaliere è legata fin dagli inizi al mondo dell’arte. I suoi genitori erano essi stessi artisti: il padre, Alberto Cavaliere (a cui è dedicata l’omonima via a Milano), era un noto poeta e, nel secondo dopoguerra, deputato per il Partito Socialista Italiano; la madre, di origini russe, era invece una scultrice, professione che il figlio intraprese a sua volta. Cavaliere si forma professionalmente a Milano presso l’Accademia di Brera, dove fu studente e poi assistente dello scultore Marino Marini, le cui opere sono ora ben note ed esposte in contesti d’eccellenza quali la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ed il Museo del Novecento di Milano. Questo prestigioso lignaggio artistico si riflette in maniera positiva sulla carriera di Cavaliere, che divenne a sua volta professore di scultura presso l’Accademia, succedendo così al maestro. In tal senso, la mostra di Palazzo Reale è un’occasione importante per ricordare ad un’audience contemporanea dell’importanza di questo artista e ridare vigore al dibattito critico sulla rilevanza degli scultori italiani nella traiettoria artistica del Novecento.
La mostra comprende varie opere in bronzo, acciaio, ottone, e argento accomunate da un interesse per il mondo naturale. Le piante sono di gran lunga il tema più frequente, con vari riferimenti alla cultura classica (si veda ad esempio l’opera Dafne, ripresa dalle Metamorfosi di Ovidio). Cavaliere procede creando effetti illusionistici per mezzo del contrasto tra l’aspetto organico degli oggetti esposti e la natura plastica dei metalli scelti come materiali. Lo scultore manipola la materia in modo da ricreare le superfici ed i colori del mondo naturale. L’utilizzo della patinatura è particolarmente importante, dal momento che permette di applicare colori verdastri al bronzo di modo da simulare i diversi colori delle foglie. Talvolta, Cavaliere lascia le sue opere o parti di esse senza patina, dal momento che il colore naturale del bronzo, di un giallo dorato, può replicare la superficie liscia ed invitante di un frutto maturo. E’ questo il caso, ad esempio, di Abete (1917), un’opera in bronzo e acciaio dove la superficie scura e opaca della pianta crea un forte contrasto visivo con il singolo frutto che pende da essa.
Molte delle opere in mostra non hanno un piedistallo ma poggiano direttamente sul pavimento. Si tratta di una scelta curatoriale che segue da vicino le intenzioni dell’artista, che a partire dagli anni ’60 tende sempre più a rifiutare il piedistallo come strumento espositivo. Il piedistallo è di fatto un lascito di una certa cultura ottocentesca che concepisce l’opera d’arte in chiave estetizzante, dividendo concettualmente l’universo dell’arte dal mondo materiale. In altre parole, l’opera e lo spettatore non si trovano sullo stesso piano della realtà: l’opera viene elevata al di fuori dei confini materiali in cui invece l’osservatore è costretto. Si tratta di una teoria tutt’altro che secondaria, dal momento che l’opera d’arte è concepita come eterna ed al di là del flusso del tempo, specialmente nel caso della scultura che è tradizionalmente correlata a materiali solidi e durevoli (in una sua poesia, il poeta latino Orazio commentava “ho eretto un monumento più duraturo del bronzo” per indicare la fama pressoché eterna dei suoi versi). Nell’opera di Cavaliere, al contrario, la transitorietà del mondo naturale è una componente centrale. La scelta di utilizzare materiali che, come l’argento, degradano naturalmente nel tempo è il segnale più evidente di ciò, assieme all’eliminazione del piedistallo, dal momento che si accetta di introdurre un elemento di instabilità nel campo della scultura, sfidando dunque i confini tradizionali di questa pratica artistica.
Nel contesto della mostra, la possibilità di osservare le opere da vicino e senza la mediazione concettuale del piedistallo è preziosa. Lo spettatore può avvicinarsi a ciascun pezzo e osservarne i dettagli minuti, che nel caso di Cavaliere rappresentano la vera gemma di ciascun lavoro. La forma delle foglie, le curve dei rami ritorti, le superfici levigate e splendenti dei frutti compongono nell’insieme immagini di grande impatto e bellezza, producendo un’esperienza estetica non dissimile a quella che si prova di fronte ad un paesaggio naturale. In tal senso, l’unicità di Cavaliere sta nella sua capacità di evocare tali sensazioni per mezzo delle sue opere, producendo così l’illusione di essere di fronte ad un reale groviglio di piante e arbusti, anziché a dei blocchi monumentali e pesanti di metallo. Le qualità tattili delle opere riescono a stravolgere la percezione dell’osservatore e ad evocare le forme desiderate dall’artista.