A seguito del successo dell’ultima asta “4-U new” del 18 maggio 2021, che ha visto - tra i risultati di maggior rilievo - la combattuta aggiudicazione di “Io sono”, provocatoria scultura immateriale di Salvatore Garau, siamo lieti di riproporre la versione integrale dell’intervista di approfondimento realizzata il 16 aprile 2021 e presente nella versione cartacea ed online del catalogo.
Le “Sculture invisibili”, di cosa si tratta?
Più che sculture invisibili le definirei sculture immateriali. La mia fantasia, allenata da una vita a sentire diversamente l’esistente attorno a me, mi permette di “vedere” ciò che apparentemente non c’è.
Le sculture immateriali sono opere che sento fisiche. Nel vuoto è presente un contenitore di possibilità positive e negative che si equivalgono costantemente, c’è insomma una densità di eventi. Inoltre il vuoto non è altro che spazio pieno di energia, se anche lo svuotiamo di campi elettromagnetici, neutrini, materia oscura, di tutto insomma e resta il nulla, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg (che da poco ho letto con entusiasmo) il nulla ha un peso! Ha quindi energia che si condensa e si trasforma in particelle, insomma in noi!
L’intuizione che ho avuto da artista, per cui astratta e spirituale, è invece avvalorata dalla scienza.
Se determino che in un dato spazio “espongo” una scultura immateriale, quello spazio attirerà l’attenzione e il pensiero delle persone e, quella densità di pensiero che si forma concentrata in un determinato spazio, credo dia vita a un agglomerarsi di elementi che prima o poi, ne sono certo, la scienza con nuovi strumenti (chissà se già esistono) potrà decifrare. Centinaia di pensieri mirati in un punto creano una scultura che dal mio titolo prenderà le più svariate forme. Le migliaia di informazioni che ci circondano e nutrono i nostri cellulari non le vediamo. Non diamo forse forma a un Dio che non abbiamo mai visto? Moltissimi non sanno di avere una fantasia smisurata!
Ci racconti il processo creativo che ti ha portato a concepire le “Assenze”?
Da molto tempo sono attratto da ciò che si percepisce non solo con gli occhi ma con tutti i sensi. Già nei dipinti neri dell’84 e negli altri in seguito, il nero si scioglieva in una sorta di ectoplasma, indefinite presenze amebiche: volevo, cioè, rendere visibile un pensiero di spazio inesistente.
Oggi l’assenza è la protagonista assoluta dei tempi che stiamo vivendo. È con questa “materia”, l’assenza appunto, che ho deciso di creare una serie di opere immateriali. Mi è sembrato incredibile ed eccitante poter, col solo titolo, dare vita a opere che non richiedono consumi di materiali, trasporti, permessi - vedi il “Buddha in contemplazione” in piazza della Scala. L’ho realizzata e posizionata senza muovermi dal mio studio (per ora in Sardegna). Non ho, però, creato quest’opera col nulla, l’ho creata col tutto.
Il pensiero è la prima parte dell’opera, e io voglio dare la massima importanza a questa fase. Ovviamente continuo a dipingere. Semplicemente i due filoni, il pensiero e la realizzazione, sono facce della stessa medaglia, ma mentre la realizzazione ha bisogno del pensiero, il pensiero può essere indipendente da tutto il resto. Sono cosciente che l’invisibile sia un tema affrontato nel passato da alcuni altri artisti (non parliamo del cinema e della letteratura) ma in forme, con concetti e in tempi diversi. Se oggi un artista decidesse di dipingere una Madonna con Bambino, l’opera avrebbe un significato completamente diverso da una Madonna con Bambino di Raffaello. Le mie opere, in questo momento, hanno una nuova valenza, un pathos incollato al momento storico, insomma, una perfetta metafora dei nostri giorni. Sono nate come un’esigenza per me irremovibile, quasi non ci dormivo; continuavo a vedere ciò che non era visibile fisicamente.
Cent’anni dopo l’orinatoio di Duchamp, posso affermare che anche solo il titolo può essere sufficiente a determinare l’esistenza di una scultura se è l’artista a decretarlo.
L’essere musicista in che modo influenza la tua ricerca nel campo delle Arti figurative?
Spesso mi viene posta questa domanda. Per me la pittura è musica e viceversa. Quando dipingo penso a una sinfonia o a un brano rock, e quando ascolto musica vedo solo pittura di tutte le epoche! Per me non c’è scissione tra le due arti. Il titolo di una mia mostra “Rosso Wagner”, è la sintesi del mio pensiero riguardo a questo tema. Curo sempre la musica dei miei video oppure, come per esempio del docu-film girato in un carcere di massima sicurezza, anche quando invito grandi musicisti, alla fine sono io che devo decidere e fare le ultime scelte, come nel video che sto preparando per l’evento di New York, dove peraltro suono la batteria pensando alle percussioni di una partitura di Histoire du soldat di Stravinsky. C’è anche il violino di Anna Tifu e la chitarra rock di Andrea Cutri. Se tra le due Arti devo proprio trovare una differenza, questa sta nel lato pratico; la musica si esegue in diretta con altri musicisti davanti a un pubblico, la pittura (o il pensiero di una scultura) in completa solitudine.
NFT, crypto art, blockchain: come si colloca il tuo lavoro rispetto all’arte digitale?
Gli NFT e le mie sculture immateriali potrebbero sembrare imparentati, ma sono completamente diversi per tanti motivi. Il primo è che gli NFT sono immagini visibili, jpg autografati che si collezionano e che se vuoi vedere lontano da uno schermo devi stampare, ritrovandoti poi una normale stampa che può avere chiunque. Le mie sculture sono uniche, non vedibili e irriproducibili nel modo più assoluto. Un altro motivo è l’inquinamento. La produzione di NFT necessita di aumento della potenza di calcolo dei processori, potenziare le catene a blocchi che sono pesantissime da gestire, creando un pericoloso inquinamento che sarà sempre più esponenziale. Le mie sculture hanno la purezza di un concetto con zero impatto ambientale. Inoltre gli NFT sono indirizzati esclusivamente a creare investimento.
L’Arte necessita anche di ben altro! Altra considerazione. Questa nuova frontiera alla quale si appoggia l’arte (col dispiacere delle gallerie) va accolta come novità; è giusto. Ciò che mi lascia perplesso è la velocità di impatto che sta avendo in generale e sul mercato dell’arte (velocità dettata dall’ingordigia) talmente veloce da sembrare ormai quasi invecchiata, come quando compri uno smartphone di ultima generazione e te lo ritrovi superato dopo pochi mesi. Sono i presupposti con cui la tecnologia è costretta a fare i conti. Posso affermare che come concetto e linguaggio sono andato ben oltre i “vecchi” NFT.
Progetti per il futuro?
Tanti, ma preferisco parlare solo di quelli immediati. A maggio sarà “esposta” nel cuore di New York, di fronte alla Federal Hall (dove è stato eletto G. Washington, primo Presidente degli Stati Uniti) e a pochi passi dalla Borsa, la scultura immateriale “Afrodite piange”, col sostegno e la promozione dell’Istituto Italiano di Cultura di New York. Sarà la terza delle sette che collocherò in altrettante città nel mondo. Sette perché è il numero spirituale per eccellenza e ha una valenza speciale in tutte le principali religioni, ebraica, cristiana, musulmana e buddista. La spiritualità mi ha sempre affascinato, nonostante nell’Arte contemporanea sia un tema che pare non abbia grande appeal, a me invece, proprio ora, sembra rivoluzionaria.